È la parola più cercata su Google quando si parla di Napoli. Un termine che descrive l’arte della piccola cattiveria, quel gusto sottile nel negare qualcosa a qualcuno quando gli sta più a cuore.
Nei bar di Milano si sente sempre più spesso pronunciare una parola misteriosa: “cazzimma”. Un termine napoletano che sta conquistando l’Italia, portando con sé un universo di significati impossibili da racchiudere in una sola definizione.
“Uà che cazzimma!” – esclama un napoletano, e tutti intorno annuiscono complici. Ma cosa significa davvero? È quella sottile cattiveria gratuita mescolata alla furbizia, il gusto di fare un dispetto sapendo di poterla fare franca. Come bere l’ultimo sorso di una bibita fresca quando l’amico assetato ti dice “lasciamene un po’”, o nascondere le sigarette negando di averle.
Il termine, nato solo pochi decenni fa, ha avuto una diffusione virale negli ambienti lavorativi e nelle scuole. La sua origine è avvolta nel mistero: alcuni la collegano all’organo genitale maschile con il suffisso “imma”, tipico del napoletano (come in “calimma” o “zuzzimma”), altri la vedono come una contrazione di “cazzi miei”, sottolineando l’aspetto individualista del “cazzimmoso”.
A Napoli circola una battuta che ne cattura perfettamente l’essenza. Un milanese chiede a un napoletano: “Vuoi spiegarmi cos’è la cazzimma?” E il napoletano risponde: “Non te lo dico! Questa è ‘a cazzimm’!”