Categoria: Cultura Napoletana

La cultura napoletana è un patrimonio unico fatto di tradizioni, arte e storie che attraversano i secoli. In questa sezione trovi articoli su feste popolari, riti religiosi e usanze che rendono Napoli una città senza tempo.

Scopri tradizioni e usanze di Napoli: arte, feste e cultura senza tempo. Esplora i contenuti di Napoli Svelata.

  • Il Cristo Velato: Il Capolavoro che ha fatto inginocchiare Canova – Storia di un’opera immortale

    Il Cristo Velato: Il Capolavoro che ha fatto inginocchiare Canova – Storia di un’opera immortale

    “Il Cristo Velato è l’opera più stupefacente che l’arte abbia mai creato.” Con queste parole Antonio Canova, il più grande scultore neoclassico della storia, descriveva la sua emozione di fronte al capolavoro di Giuseppe Sanmartino nella Cappella Sansevero di Napoli.

    Un velo di marmo così sottile da far credere all’impossibile, uno scultore geniale e un principe alchimista. Dietro il Cristo Velato di Napoli si nasconde una storia che ha dell’incredibile, fatta di misteri mai svelati e tecniche artistiche che ancora oggi lasciano senza fiato milioni di visitatori.

    La Prima Vista di Canova al Cristo Velato

    Durante il suo viaggio a Napoli nel 1780, Antonio Canova si fermò nella Cappella Sansevero. Il silenzio calò nella sala quando il celebre scultore, già famoso in tutta Europa, si inginocchiò davanti al Cristo Velato. “Rinuncerei a dieci anni della mia vita pur di aver scolpito questo Cristo,” sussurrò Canova, con le lacrime agli occhi. Un momento storico che segnò per sempre il destino di quest’opera straordinaria.

    Le cronache dell’epoca raccontano che Antonio Canova tornò più volte alla Cappella Sansevero, spesso nelle prime ore del mattino, per studiare il Cristo Velato in solitudine. “Ogni volta che lo osservo,” scrisse nei suoi appunti, “scopro nuovi dettagli che mi lasciano senza parole.” La sua ammirazione per l’opera di Sanmartino divenne leggendaria negli ambienti artistici europei.

    Il Cristo Velato: Un’Opera che ha Cambiato la Storia dell’Arte

    Il Cristo Velato non è solo una scultura: è una sfida all’impossibile. Giuseppe Sanmartino, nel 1753, realizzò qualcosa che nemmeno il grande Canova riteneva possibile. Da un unico blocco di marmo, scolpì non solo il corpo di Cristo, ma anche un velo così sottile da sembrare trasparente. Canova stesso dichiarò che “il velo è così realistico che sembra impossibile sia stato scolpito nel marmo.”

    Il Cristo Velato di Napoli, l'opera che conquistò Antonio Canova

    L’Omaggio di Canova

    “Ho visto miracoli in marmo,” scrisse Canova nei suoi diari, “ma il Cristo Velato supera ogni immaginazione.” L’ammirazione di Canova per quest’opera era tale che, si dice, tornò più volte a Napoli solo per contemplarla. “In questo velo,” affermava, “c’è tutto il genio della scultura italiana.”

    Ciò che più colpì Canova del Cristo Velato fu la perfezione anatomica unita alla trasparenza del velo. “Si vedono le vene pulsare attraverso il marmo,” osservò lo scultore, “è come se Sanmartino avesse dato vita alla pietra.” Il velo, sottile come tessuto vero, lascia intravedere:

    • Il volto sofferente di Cristo
    • Le ferite della corona di spine
    • Il costato trafitto
    • La muscolatura perfettamente definita

    L’incontro con il Cristo Velato influenzò profondamente lo stile di Canova. Nelle sue opere successive, lo scultore tentò più volte di replicare l’effetto del velo di marmo, senza mai raggiungere, per sua stessa ammissione, la perfezione del Sanmartino.

    Come Sanmartino riuscì a creare un velo così sottile da un blocco di marmo? Questo enigma tormentò Canova per anni. “Ho studiato ogni centimetro di quest’opera,” confessò, “ma il suo segreto rimane un mistero.” La leggenda vuole che il principe di Sangro, committente dell’opera, avesse utilizzato un procedimento alchemico, ma Canova stesso smentì questa teoria, attribuendo tutto al genio di Sanmartino.

    “Nemmeno le mie opere migliori reggono il confronto con il Cristo Velato,” confessò Canova ai suoi allievi. Una dichiarazione sorprendente da parte di chi aveva scolpito capolavori come “Amore e Psiche” e il “Monumento a Maria Cristina d’Austria”. Il velo di marmo del Cristo Velato rappresentava per lui il vertice assoluto dell’arte scultorea.

    L’ossessione di Canova per il Cristo Velato lo portò a studiarne ogni minimo dettaglio. Notò come Sanmartino aveva creato l’effetto della trasparenza variando lo spessore del marmo fino a renderlo quasi impalpabile. “Il velo sembra respirare,” osservò Canova, “come se il marmo si fosse trasformato in tessuto vivo.”

    L’ammirazione di Canova per il Cristo Velato influenzò profondamente il movimento neoclassico. “Quest’opera dimostra che la perfezione barocca può fondersi con l’ideale classico,” dichiarò lo scultore. Il suo entusiasmo contribuì a far conoscere il capolavoro di Sanmartino in tutta Europa.

    Il Cristo Velato di Napoli, l'opera che conquistò Antonio Canova

    La Testimonianza più Toccante

    Tra tutte le testimonianze di Canova sul Cristo Velato, la più emozionante rimane quella scritta dopo la sua ultima visita: “Ho visto la perfezione nel marmo. Ho visto un velo che sembra di seta, un corpo che sembra respirare. Ho visto l’impossibile diventare reale sotto lo scalpello di Sanmartino.”

    L’Eredità di Due Geni

    Oggi, il Cristo Velato continua a stupire come ai tempi di Canova. Nel 2023, oltre mezzo milione di visitatori hanno ammirato l’opera che fece inginocchiare il più grande scultore neoclassico. “Chi non ha visto il Cristo Velato,” diceva Canova, “non può comprendere fino a che punto possa spingersi l’arte della scultura.”

    La passione di Canova per il Cristo Velato accese un vivace dibattito nel mondo dell’arte. Molti scultori dell’epoca si recarono a Napoli solo per verificare se le parole di Canova fossero esagerate. Nessuno rimase deluso. “Canova aveva ragione,” scrisse lo scultore Bertel Thorvaldsen, “è un’opera che va oltre i confini dell’arte.”

    L’ammirazione di Canova ha contribuito a costruire il mito del Cristo Velato. Ancora oggi, gli studenti delle accademie d’arte studiano come Sanmartino sia riuscito a ottenere effetti che nemmeno il grande Canova riuscì a replicare. “Il velo del Cristo,” scrisse nelle sue memorie, “rimarrà per sempre il più grande miracolo della scultura.”

    Il Cristo Velato Oggi

    A distanza di secoli, le parole di Canova continuano a risuonare nella Cappella Sansevero. Il Cristo Velato rimane un’opera che sfida la comprensione, proprio come quando il più grande scultore neoclassico si inginocchiò davanti ad essa, ammettendo che la sua arte non poteva eguagliare quella di Sanmartino.

     Consigli per la Visita

    • Prenotate in anticipo nei periodi di alta stagione
    • Visitate la Cappella nelle prime ore del mattino per una migliore esperienza
    • Non dimenticate di scendere nei sotterranei per vedere le Macchine Anatomiche
    • L’audioguida (3,50€) offre approfondimenti imperdibili sulla storia dell’opera

    Indirizzo, orari e Biglietti

    • Via de Sanctis Francesco, 19/21, 80134 Napoli. Tel./fax: +39 081 5518470
    • Aperto tutti i giorni: 09:00 – 19:00.
    • Ultimo ingresso consentito 30 min. prima della chiusura.
    • Chiuso il martedì
    • Biglietto ordinario: € 7,00,
    • Ragazzi da 10 a 25 anni € 5,00.
    • Artecard: € 5,00.
    • Soci FAI: € 5,00.
    • Bambini fino a 9 anni: gratis.
    • Scuole*: € 3,00 (tariffa valida solo nei giorni feriali).
    • Audioguida: € 3,50

    Il Cristo Velato di Napoli, l'opera che conquistò Antonio Canova

  • Il miracolo del San Carlo: come Napoli ricostruì il teatro più bello d’Europa in 300 giorni

    Il miracolo del San Carlo: come Napoli ricostruì il teatro più bello d’Europa in 300 giorni

    La ricostruzione in tempo record del Tatro San Carlo di Napoli, un esempio senza precedenti di eccellenza napoletana che stupì Stendhal e ancora oggi attira visitatori da tutto il mondo.

    La magnificenza del Teatro San Carlo di Napoli, il più antico teatro d’opera del mondo ancora in attività, racconta una storia di rinascita che ha dell’incredibile. Quando nel 1816 un devastante incendio lo ridusse in cenere, nessuno poteva immaginare che in soli 300 giorni sarebbe risorto più splendido di prima, diventando il teatro più bello d’Europa.

    Il Teatro San Carlo si erge maestoso accanto a Piazza del Plebiscito dal 1737, quando il Re Carlo III di Borbone decise di dare a Napoli un teatro che rappresentasse degnamente il potere regio. La sua costruzione precedette di 41 anni il Teatro alla Scala di Milano e di 55 anni la Fenice di Venezia, segnando l’inizio di un’epoca d’oro per la musica italiana.

    L’architetto Giovanni Antonio Medrano e Angelo Carasale realizzarono un’opera monumentale in soli otto mesi, con una spesa di 75 mila ducati. La sala originale misurava 28,6 metri di lunghezza e 22,5 metri di larghezza, con 184 palchi disposti in sei ordini e un palco reale che poteva ospitare dieci persone, per una capienza totale di 1379 posti.

    La sera del 4 novembre 1737, giorno dell’onomastico del sovrano, il teatro venne inaugurato con l’Achille in Sciro di Pietro Metastasio, musicato da Domenico Sarro. Sul palco, seguendo l’usanza dell’epoca, il ruolo di Achille fu interpretato da una donna, Vittoria Tesi detta “la Moretta”, affiancata dal soprano Anna Peruzzi, “la Parrucchierina”, e dal tenore Angelo Amorevoli.

    Ma è la notte del 13 febbraio 1816 che segna una svolta drammatica nella storia del San Carlo. Un incendio divampato improvvisamente divora il teatro, riducendolo a un cumulo di macerie fumanti visibili da tutta la città. Per i Borbone è un colpo devastante al prestigio della corona, alla loro vetrina più illustre.

    Teatro San Carlo: come Napoli lo ricostruì in 300 giorni

    La reazione è immediata. Il 22 febbraio, appena dieci giorni dopo il disastro, Ferdinando IV emana un regio decreto che ordina la ricostruzione del teatro entro l’anno “nel più breve tempo possibile e nella stessa forma e decorazione”. Una sfida che sembra impossibile.

    Quattrocento uomini lavorano incessantemente per sessanta giorni solo per rimuovere le macerie. L’architetto toscano Antonio Niccolini guida un esercito di artigiani meridionali fatti affluire da tutto il Regno. Mentre Giuseppe Cammarano dipinge il nuovo velario del soffitto con “Apollo che presenta a Minerva i più grandi poeti del mondo”, il teatro prende forma giorno dopo giorno.

    Il costo previsto è astronomico: 450 mila ducati. Ma grazie all’abilità manageriale di Domenico Barbaja, ex garzone milanese divenuto gestore dei Regi Teatri, la spesa finale si ferma a 241 mila ducati. Un miracolo economico oltre che architettonico.

    Il 12 gennaio 1817, nel giorno del compleanno del sovrano, il nuovo Teatro San Carlo viene inaugurato. Stendhal, presente alla seconda fastosa inaugurazione, scrive parole che sono passate alla storia: “Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea”. E ancora: “La prima impressione è d’esser piovuti nel palazzo di un imperatore orientale. Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita“.

    Lo spettacolo d’apertura, “Il Sogno di Partenope”, melodramma allegorico di Mayr su libretto di Urbano Lampredi, mette in scena proprio l’incendio che aveva distrutto il teatro. Una nuvola scende dal cielo tra Partenope, Apollo e Minerva, suggerendo che tutto sia stato solo un sogno. Ma la realtà supera la fantasia: in soli trecento giorni, Napoli ha realizzato l’impossibile.

    Come scrive Jean-Jacques Rousseau nel suo “Dictionnaire de Musique”: “Vuoi tu sapere se qualche scintilla brucia in te? Corri, vola a Napoli ad ascoltare i capolavori di Leo, Durante, Jommelli, Pergolesi”. Parole che ancora oggi, dopo più di due secoli, risuonano vere.

    Oggi il Teatro San Carlo continua a incantare visitatori da tutto il mondo. La sua sala splendente di ori, sete e cristalli testimonia non solo la grandezza dell’architettura napoletana del XIX secolo, ma anche la straordinaria capacità di rinascere dalle proprie ceneri, più forte e più bella di prima.

    La ricostruzione del San Carlo in soli trecento giorni resta un record imbattuto nella storia dell’architettura teatrale europea, un simbolo di quell’eccellenza napoletana che, tra tradizione e innovazione, continua a stupire il mondo. Un miracolo che dimostra come, quando si fondono visione, competenza e determinazione, nulla è impossibile.

    Teatro San Carlo: come Napoli lo ricostruì in 300 giorni

  • Storia del Presepe Napoletano: Arte, Tradizione e Segreti dal 1025 a Oggi

    Storia del Presepe Napoletano: Arte, Tradizione e Segreti dal 1025 a Oggi

    Nel cuore pulsante di Napoli, tra i vicoli antichi di San Gregorio Armeno, si custodisce un’arte che trascende la semplice rappresentazione della Natività. Il presepe napoletano è una testimonianza vivente di storia, cultura e tradizione che si rinnova ogni anno, tramandata attraverso le mani sapienti degli artigiani e l’amore delle famiglie partenopee.

    Presepe Napoletano: Le Radici di una Tradizione Secolare

    La storia ufficiale racconta che il primo presepe napoletano nacque nel 1025, nella chiesa di Santa Maria del Presepe. Ma la vera essenza di quest’arte straordinaria vive nelle botteghe storiche, dove ogni famiglia di artigiani custodisce gelosamente tecniche e segreti tramandati nei secoli. Giuseppe Ferrigno, erede di una dinastia di maestri presepiali che dura da quattro generazioni, racconta che “ogni pastore, ogni miniatura, ogni piccolo dettaglio del presepe napoletano racconta una storia vera, un pezzo di vita della nostra città.”

    L’Arte dei Maestri Presepiali

    Nelle antiche botteghe di San Gregorio Armeno, la creazione di un pastore segue un rituale preciso e antico. La pregiata creta di Capodimonte, ancora oggi estratta dalle cave storiche, viene lavorata secondo tecniche segrete che determinano la qualità finale del pastore. Gli stampi originali del ‘700, veri e propri tesori familiari, vengono utilizzati per creare volti di straordinaria espressività, ognuno con la propria caratteristica unica.

    La tradizione presepiale napoletana brilla attraverso dinastie di artigiani che hanno definito stili inconfondibili. I Ferrigno sono celebri per la straordinaria capacità di catturare le emozioni nei volti dei loro pastori. I Di Virgilio hanno sviluppato una maestria particolare nella rappresentazione degli animali e delle miniature. Gli Scuotto sono rinomati per la precisione anatomica delle loro figure, mentre i Giannotti hanno trasformato la rappresentazione della vita quotidiana in una firma artistica distintiva.

    Foto di un presepe tradizionale NAPOLETANO

    Il Significato dei Personaggi nel Presepe Napoletano

    Il presepe napoletano si distingue per la profonda simbologia dei suoi personaggi. Il pastore Benino, figura imprescindibile di ogni composizione, rappresenta l’umanità in attesa della Rivelazione divina. La tradizione vuole che questo personaggio dormiente venga collocato in posizione elevata, vicino alla grotta della Natività, poiché nel suo sonno vede gli angeli che annunciano la nascita di Gesù. La sua presenza simboleggia il sottile confine tra sogno e realtà, tra dimensione terrena e divina.

    L’Arte della Colorazione e dei Dettagli

    La colorazione dei pastori napoletani segue antiche ricette tramandate di padre in figlio nelle botteghe di San Gregorio Armeno. Ogni tonalità racconta una storia e porta con sé un significato profondo: il rosso della veste del pastore simboleggia la carità cristiana, mentre il blu del manto della Madonna rappresenta la purezza celeste. Gli artigiani applicano questi colori seguendo tecniche ancestrali che garantiscono una particolare luminosità e resistenza al tempo.

    La Scenografia: Un’Arte nella Tradizione

    La scenografia del presepe napoletano rappresenta un capolavoro di architettura in miniatura. La grotta della Natività, realizzata tradizionalmente in sughero, richiede una maestria particolare che gli artigiani napoletani hanno elevato a forma d’arte suprema. Le tecniche di lavorazione del sughero, insieme alla creazione degli effetti di prospettiva e profondità, costituiscono preziosi segreti tramandati di generazione in generazione.

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    L’Illuminazione: La Magia della Luce

    Un aspetto fondamentale del presepe napoletano è il sapiente uso della luce. I maestri del Settecento svilupparono tecniche innovative per ricreare i diversi momenti del giorno: dall’alba al tramonto, fino alla notte stellata. Utilizzavano ingegnosi sistemi di carta colorata, specchi e piccole candele strategicamente posizionate per creare atmosfere suggestive. Oggi, pur con l’avvento dell’illuminazione elettrica, queste antiche tecniche continuano a essere studiate e replicate per mantenere intatto il fascino originale.

    La Tradizione che si Rinnova

    Nelle case napoletane, l’allestimento del presepe rappresenta un momento sacro che unisce le generazioni. La tradizione vuole che si inizi l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione. Ogni famiglia conserva un posto speciale dedicato al presepe, spesso lo stesso da generazioni, e segue rituali precisi nel posizionamento dei pastori e nella creazione degli effetti scenografici.

    Il Valore dell’Artigianato Presepiale

    Nelle botteghe di San Gregorio Armeno, il valore di un pastore non si misura solo in termini economici. I pezzi settecenteschi rappresentano naturalmente il vertice del collezionismo, ma anche le creazioni contemporanee hanno un loro pregio, determinato dalla qualità della manifattura, dall’antichità degli stampi utilizzati e dalla reputazione della famiglia artigiana. La terracotta deve provenire rigorosamente dalle cave di Capodimonte, i vestiti devono essere cuciti secondo tecniche tradizionali, e ogni dettaglio deve rispettare canoni precisi tramandati nel tempo.

    Il Restauro: Un’Arte nella Tradizione

    Il restauro dei pastori antichi rappresenta uno dei capitoli più affascinanti della tradizione presepiale napoletana. Nelle botteghe storiche di San Gregorio Armeno, i maestri restauratori hanno sviluppato tecniche sofisticate che permettono di riportare all’antico splendore i pastori del ‘700 e dell’800, preservandone l’autenticità. Questo processo richiede mesi di lavoro paziente e meticoloso: dalla delicata pulitura della terracotta al rifacimento degli abiti d’epoca, ogni fase segue protocolli precisi tramandati attraverso le generazioni.

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    La Documentazione Storica

    Le botteghe storiche di Napoli custodiscono un patrimonio documentale inestimabile. La famiglia Mollica, ad esempio, conserva ancora i quaderni originali del bisnonno, contenenti schizzi dei pastori e preziose annotazioni sulle tecniche di lavorazione. Questi documenti non sono semplici memorie familiari, ma rappresentano un tesoro culturale che permette di mantenere viva la tradizione nella sua forma più autentica.

    L’Innovazione nel Rispetto della Tradizione

    L’arte presepiale napoletana abbraccia con cautela l’innovazione tecnologica. Le nuove tecnologie vengono integrate solo quando possono realmente migliorare la qualità del lavoro senza tradire l’essenza della tradizione. Alcuni artigiani utilizzano scanner 3D per preservare digitalmente gli stampi antichi, creando un archivio storico che permetterà alle future generazioni di studiare e replicare le tecniche originali. Tuttavia, la creazione dei pastori rimane rigorosamente manuale, fedele alle tecniche secolari.

    La Musica nel Presepe

    La tradizione presepiale napoletana include anche una dimensione musicale fondamentale. I pastori musicanti, con i loro strumenti in miniatura perfettamente riprodotti, rappresentano la gioia dell’annuncio divino attraverso la cultura popolare partenopea. Zampogne, putipù, triccheballacche e altri strumenti tradizionali vengono ricreati con una precisione straordinaria, testimoniando l’attenzione al dettaglio che caratterizza quest’arte.

    Il Riconoscimento Internazionale

    Il presepe napoletano ha superato i confini nazionali, diventando un fenomeno culturale di rilevanza mondiale. Nelle principali città europee e americane, i presepi realizzati secondo la tradizione napoletana sono presenti in musei, chiese e collezioni private. Il riconoscimento UNESCO del 2022 come patrimonio immateriale dell’umanità ha coronato secoli di storia e tradizione, premiando non solo l’arte in sé, ma l’intero ecosistema culturale che la sostiene.

    La Formazione delle Nuove Generazioni

    Le scuole di arte presepiale napoletana stanno vivendo una nuova primavera. Giovani artigiani da tutto il mondo giungono a Napoli per apprendere le tecniche tradizionali. I maestri più esperti hanno aperto le loro botteghe a corsi e workshop, consapevoli che la sopravvivenza di quest’arte dipende dalla capacità di trasmetterla alle nuove generazioni. In queste scuole non si insegnano solo tecniche di lavorazione, ma si tramanda una filosofia, un modo di vedere e interpretare il mondo attraverso l’arte del presepe.

    L’Impatto Culturale e il Futuro del Presepe Napoletano

    L’impatto economico e culturale della tradizione presepiale su Napoli è profondo e multiforme. San Gregorio Armeno attira centinaia di migliaia di visitatori durante tutto l’anno, non solo nel periodo natalizio. Questo flusso continuo ha trasformato l’antica strada degli artigiani in un polo culturale che genera un importante indotto economico per l’intera città, permettendo alle botteghe storiche di sopravvivere e investire nella formazione di nuovi talenti.

    Il futuro del presepe napoletano si costruisce sul delicato equilibrio tra tradizione e innovazione. Le nuove generazioni di artigiani stanno introducendo tecniche moderne mantenendo intatto lo spirito originario di quest’arte. L’utilizzo di nuovi materiali, tecnologie digitali per la progettazione e strumenti moderni per la lavorazione viene sempre subordinato al rispetto della tradizione secolare.

    Il Museo del Presepe Napoletano, insieme all’associazione “Amici del Presepe Napoletano”, svolge un ruolo fondamentale nella promozione e preservazione di questa tradizione. Attraverso mostre permanenti, esposizioni temporanee, eventi culturali e pubblicazioni specializzate, queste istituzioni mantengono vivo l’interesse per l’arte presepiale e ne garantiscono la trasmissione alle future generazioni.

    Le scuole napoletane hanno integrato nei loro programmi visite guidate a San Gregorio Armeno, riconoscendo l’importanza di avvicinare i giovani a questa tradizione. Questo approccio educativo non solo preserva il patrimonio culturale ma crea anche un ponte tra passato e futuro, permettendo alle nuove generazioni di comprendere e apprezzare la ricchezza della loro eredità culturale.

    Come disse Eduardo De Filippo, “Natale con il presepe è più Natale”. Il presepe napoletano, con la sua straordinaria capacità di unire sacro e profano, arte e tradizione, passato e presente, continua a essere un simbolo vivente della cultura partenopea che ha conquistato il mondo intero. In un’epoca di rapidi cambiamenti e globalizzazione, rappresenta un esempio straordinario di come una tradizione locale possa diventare universale senza perdere la propria identità.

    Per chi desidera scoprire i segreti di quest’arte millenaria, le botteghe di San Gregorio Armeno rimangono un punto di riferimento imprescindibile, sempre pronte ad accogliere chi vuole immergersi in un mondo dove il tempo sembra essersi fermato, ma dove la tradizione continua a rinnovarsi e a vivere attraverso le mani sapienti degli artigiani napoletani.

    Il presepe napoletano non è solo una tradizione da preservare, ma un patrimonio vivo che continua a crescere e a rinnovarsi, mantenendo intatto il suo fascino secolare. È una testimonianza della capacità dell’arte di trascendere il tempo e lo spazio, parlando un linguaggio universale che continua a emozionare e ispirare persone di ogni cultura e provenienza

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    Hai mai visitato San Gregorio Armeno o creato un presepe personalizzato? Condividi la tua esperienza nei commenti e scopri altre curiosità sulla cultura napoletana qui su Napoli Svelata!

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