Masaniello, un pescivendolo napoletano, divenne l’eroe di una rivolta popolare nel 1647, sfidando il potere del viceré spagnolo. La sua storia, fatta di coraggio, tradimenti e follia, lo ha reso un mito immortale.
Nel cuore di Napoli, tra i vicoli di piazza Mercato, nacque una delle rivolte popolari più straordinarie della storia italiana. Un giovane pescivendolo di 27 anni, in soli dieci giorni, passò dall’essere un umile venditore di pesce a governatore de facto della città più popolosa d’Europa. Questa è la vera storia di Masaniello, il rivoluzionario napoletano che nel 1647 osò sfidare il potere spagnolo.
La Napoli del 1647: Una Polveriera Sociale
Nel XVII secolo, Napoli era una metropoli di 350.000 abitanti, seconda solo a Parigi. Ma dietro il suo splendore si nascondeva una realtà drammatica. La città era spaccata in due: da una parte una rigida gerarchia nobiliare composta da principi, duchi, marchesi, conti, baroni, patrizi e signori; dall’altra una massa di poveri schiacciati dalle tasse e dalla fame.
Era il 7 luglio 1647. Il sole bruciava le pietre di piazza Mercato quando Tommaso Aniello, un giovane pescivendolo di 27 anni, si alzò dal suo banco e cambiò per sempre la storia di Napoli. In soli dieci giorni, sarebbe passato da venditore di alici a dominatore della città più grande d’Europa, per poi morire tragicamente, tradito da chi credeva amico.
Il mercato era in fermento quella mattina. L’ennesima tassa sulla frutta aveva fatto traboccare il vaso. “Non pagheremo più!”, gridò un ortolano. In pochi minuti, la folla si radunò intorno a un giovane che, in piedi su un banco di legno, parlava con una passione mai vista prima.
“Ci hanno tolto persino il pane dalla bocca”, tuonava Masaniello. “Ma oggi basta!”. La sua voce rimbombava tra i vicoli, mentre 350.000 napoletani soffrivano sotto il peso di tasse impossibili.
Masaniello, l’Uomo Dietro il Mito
Chi era davvero quest’uomo che osò sfidare il potere? Nel quartiere tutti conoscevano Masaniello. Di giorno vendeva pesce, di notte contrabbandava sale per sopravvivere. Tommaso Aniello d’Amalfi, conosciuto da tutti come Masaniello, nacque nel 1620 in un modesto edificio vicino a piazza Mercato. La sua vita quotidiana si divideva tra il banco del pesce al mercato e le attività notturne di contrabbando, necessarie per la sopravvivenza in una città dove la povertà divorava ogni speranza.
“Era uno di noi”, ricordavano i vecchi del mercato, “ma parlava come un re”. In poche ore, migliaia di napoletani lo seguivano. Palazzi nobiliari in fiamme, prigioni aperte, gabellieri in fuga. Il viceré, terrorizzato, si barricò nel suo palazzo.
La Scintilla della Rivolta
Quel 7 luglio 1647, la tensione esplose quando gli ortolani si rifiutarono di pagare l’ennesima gabella imposta dal viceré spagnolo. Il grido che risuonò per le strade – “Viva il re di Spagna, mora il malgoverno” – rivelava la natura particolare di questa rivolta: non contro il re, ma contro i suoi corrotti rappresentanti.
Grazie al suo carisma innato e alla sua parlantina incisiva, Masaniello si eresse a capo della rivolta, venendo proclamato “capitano generale del fedelissimo popolo napoletano”. La sua figura, temprata dalle dure esperienze di vita e, secondo la leggenda, forgiata durante i soggiorni in carcere dovuti al suo secondo lavoro di contrabbandiere, ispirò fiducia in una popolazione in cerca di giustizia. Fu in quegli ambienti difficili che Masaniello entrò in contatto con Giulio Genoino, l’agitatore politico che gli avrebbe fornito le linee guida ideologiche e strategiche della rivolta.
Il popolo, assetato di cambiamento, prese d’assalto palazzi nobiliari e uffici delle imposte. Le prigioni, svuotate per facilitare la fuga dei detentori del potere, si riempirono di mogli e figli di duchi e conti, in un tripudio di riscatto popolare. Masaniello, simbolo della rabbia e del desiderio di un nuovo inizio, si impose al punto che persino il viceré fu costretto a negoziare con lui, riconoscendo la forza di una gente stanca del malgoverno.
Da Pescivendolo a Leader
13 luglio 1647. Masaniello varca le porte del palazzo reale. Non più in stracci da pescivendolo, ma vestito d’argento come un nobile. Il viceré è costretto a firmare un accordo: abolizione delle tasse ingiuste, diritti per il popolo, potere ai rappresentanti popolari.
Il potere cambiò Masaniello. Non dormiva più. Vedeva traditori ovunque. Ordinava esecuzioni per un sospetto. I suoi occhi, prima ardenti di giustizia, ora bruciavano di paranoia.
“È stato avvelenato”, sussurravano al mercato. “Il potere gli ha dato alla testa”, dicevano altri. La verità, forse, era un mix di entrambe. L’eroe partenopeo, ossessionato dall’idea di complotti contro di sé, iniziò a compiere azioni sempre più irrazionali. Il suo stato d’animo, forse segnato da un disturbo bipolare, lo portò a perdere il controllo di sé.

Il Tradimento
l presentimento di Masaniello sui complotti non era del tutto infondato. Il 16 luglio 1647, dopo soli dieci giorni di potere, cinque colpi di archibugio posero fine alla sua vita. Il tradimento venne proprio da chi l’aveva guidato: Genoino, preoccupato dal crescente radicalismo del suo protetto, diede il benestare alla sua eliminazione. Come ricompensa, ricevette una prestigiosa posizione nell’ordine forense napoletano. Il corpo di Masaniello, decapitato, venne trascinato per le strade della città e gettato tra i rifiuti, un ultimo tentativo di umiliare chi aveva osato sfidare il potere costituito.
La morte violenta non segnò la fine della storia di Masaniello, ma l’inizio della sua leggenda. Le donne napoletane, in un misto di devozione popolare e ribellione, lo elevarono a figura quasi religiosa, invocandolo come un redentore. La sua storia divenne simbolo universale di riscatto sociale, ispirando opere teatrali, composizioni musicali e movimenti di protesta nei secoli successivi.